Allontanati da genitori violenti, disadattati o criminali alla maggiore età vengono abbandonati al loro destino
(di Giacomo Galeazzi)
La maggiore età è una mannaia sul sussidio. Da 70 a zero euro. «Per i 28mila ragazzi allontanati dalle famiglie d’origine, compiere 18 anni significa perdere ogni tutela: niente più assistenza, né vitto né alloggio – afferma Antonio Marziale, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Calabria -. Sono privi di mezzi di sostentamento eppure formalmente adulti. Appena diventano maggiorenni non hanno più la sicurezza di un tetto e di un piatto a tavola. Perdono tutto». Per ciascun minore lo Stato paga in media 70 euro al giorno alle case famiglia e 130 euro alle comunità educative.
«A 18 anni si ritrovano soli, abbandonati al loro destino », racconta Cesare Romano, Garante della Campania che ha riunito al Centro direzionale di Napoli una delegazione di di neo-maggiorenni rimasti senza tutele e, con l’assistente sociale Carmela Grimaldi, gira in lungo e in largo la regione per promuovere i «gruppi appartamento» dove seguire e rendere autonomo con un contributo chi sta per diventare maggiorenne. Dietro il ghigno e i tatuaggi Valerio Anaclerio nasconde una sofferenza che gli fanno pesare come macigni i suoi pochi anni. «Al 18° compleanno sulla torta c’erano preoccupazioni invece di candeline», sorride. Finito in una casa famiglia ad Atripalda per un motorino rubato, dopo la morte della mamma non vuole tornare a Pozzuoli («non c’entro più niente lì»). La maggiore età come una disgrazia: «Senso di vuoto, precarietà, nessuna certezza».
Accanto a lui Ahmed Sahane annuisce. «Io 18 anni li compio ad agosto», dice con un filo di voce prima di ripercorrere la sua Via Crucis che inizia con la fuga dalla Somalia, lo scampato reclutamento da parte dell’Isis, le violenze degli scafisti e il fallito reinserimento nella famiglia dello zio in Svizzera. «Sogno di diventare cuoco»,conclude. Solo un giovane su tre rientra in famiglia dopo essere stato allontanato. E una famiglia di origine su tre è povera. I minori fuori dal nucleo di origine sono 28.449, divisi a metà tra famiglie affidatarie (14.194) e comunità residenziali (14.255). Patrizia Saraceno è la vicepresidente del Ceis, il Centro di solidarietà fondato a Roma da don Mario Picchi: all’Eur, nelle palazzine di via Ambrosini, si occupa dei gruppi di minorenni dagli 8 ai 18 anni. In Italia il 60% degli affidamenti si protrae per oltre 2 anni e il 31,7% supera i 4 anni.
«Arrivano da noi ragazzi italiani e di altre nazionalità – spiega Saraceno -. Alcuni escono dai centri di accoglienza, altri ce li portano i carabinieri che li trovano per strada o sono mandati qui dai tribunali dei minori per graviproblemi familiari. Vivono la comunità come una seconda casa, condividono difficoltà e mansioni interne». Perciò, aggiunge, «non scopriamo il giorno prima che stanno per compiere 18 anni e prevediamo un percorso per ciascuno neo-maggiorenne: raggiunta la maggiore età, li teniamo anche se non riceviamo più fondi». Laddove non intervengano strutture non profit, i neo-18enni fuori dalla famiglia si ritrovano senza alcun sostegno.
«Chi si occupa di loro, lo fa a proprie spese, non ha alcun sussidio pubblico, come don Giacomo Panizza alla comunità Progetto Sud di Lamezia Terme – sottolinea Marziale -.In questa condizione di abbandono, molti ragazzi per sopravvivere diventano manovalanza per i clan criminali, per il caporalato o finiscono nei circuiti della prostituzione. Far uscire dal Welfare statale i neo 18enni significa consegnarli al business dell’illegalità». Alla base c’è «un vuoto legislativo», denuncia Marziale: «Quando un ragazzo diventa maggiorenne, le strutture di accoglienza devono mantenerlo con i loro mezzi quindi non sono in condizione nè hanno interesse a tenerlo ancora».
Oggi, precisa, «ci sono molte richieste per aprire case famiglie destinate ai minori, mentre nessuno si interessa ai neo-maggiorenni che vengono espulsi dal circuito dell’accoglienza come merce scaduta: si guadagna coi minori, non con i 18enni». A Reggio Emilia, nei comuni della Val d’Enza, si sono organizzati per fronteggiare il disagio. «Continuiamo a seguirli per dare compimento ai progetti individuali dei neo – maggiorenni – racconta Federica Anghinolfi, responsabile del servizio sociale integrato -. Il tribunale per i minori può richiedere che i servizi sociali proseguano nel loro impegno. Inoltre i genitori sono obbligati, anche se decaduti dalla responsabilità familiare, ad ottemperare al mantenimento dei figli, ma ciò non succede mai malgrado sia un reato perseguibile penalmente». Soprattutto nel Mezzogiorno è un’emergenza. «Dove vado senza lavoro?»,chiede Youssouf Kone. 18 anni li ha compiuti a novembre ma per ora resta a Casa Vanni, a Marano, nella periferia di Napoli, come «mediatore culturale volontario».
Lavora in nero come fruttivendolo e manda 90 euro a trimestre alla sua famiglia in Costa d’Avorio («mio fratello è morto in un incidente»). Con 13 anni di vita in comunità Christian Mustafa, di etnia Sinti, ascolta Youssouf come la traccia di una biografia condivisa. «Possibilità ce ne sono poche, è davvero dura»,sospira. Sanno bene quanto sia difficile trovare una strada per mantenersi fuori dalla comunità Rosario Giovanni Pepe e Antonella Tomasetta che da più di vent’anni in provincia di Avellino accolgono in casa minori tolti dai servizi sociali a famiglie disastrate o mandati da loro in prova dai tribunali minorili per evitare il processo. «Vengono eliminati dal sistema degli aiuti pubblici senza che siano pronti a camminare con le proprie gambe», osserva Pepe che poi descrive il «Far West delle rette negoziate con i sindaci per l’accoglienza di ciascun minore».
Nessuna progettazione, concordano i garanti. Contro la «corsa al ribasso delle rette per accaparrarsi fette di mercato» in Campania Romano ha riunito enti locali e comunità per fissare regole e tariffe, mentre in Calabria Marziale, monitorando come vengono accolti i minori, ha scoperto che molti, soprattutto stranieri fuggono dalle strutture. «E’ un esercito invisibile di cui non si sa più nulla: è appena venuta da me la responsabile di tre ragazzi che non si trovano più – accusa. – L’assistenza è resa confusa e burocratizzata tra livello statale, regionale e comunale, intanto esce dai radar una gioventù lasciata a sè stessa. Sono ragazzi che hanno alle spalle situazioni terribili e non possono tornare indietro. A 18 anni lo Stato non versa più un euro per loro. Abbandonarli significa perderli, far finta di niente è orrendo».