di Carlo Macrì
«Ho aiutato tante donne, non sono riuscita a salvare mio figlio». Katia Villirillo vive il suo dolore nel modesto appartamento di 40 metri quadri al primo piano alla periferia di Crotone. Fondatrice dell’associazione «Libere donne» e mamma di Giuseppe ucciso ad appena 18 anni, abbraccia le centinaia di donne venute a confortarla. Molte salvate dalla strada e dalla droga e oggi pronte a stringersi a lei che dal 2009 si prende cura di quanti, in questa città, le hanno chiesto aiuto. «Ho dato tanto a Crotone con la mia associazione, ma mi hanno lasciata sola a combattere il malaffare e le ingiustizie. Mio figlio è morto soltanto perché uno spacciatore si era messo in testa che la mia famiglia spiasse i suoi loschi affari» dice Katia. Salvatore Gerace, l’assassino che sabato pomeriggio ha ucciso Giuseppe, abita con sorella, cognato e nipote di fronte alla sede dell’associazione «Libere donne». Questa vicinanza gli ha fatto credere che quello fosse una sorta di punto di osservazione in una zona degradata della città spesso popolata da tossici, rapinatori e prostitute.
«Ho scelto di aprire la sede dell’associazione in questo posto proprio perché c’era l’esigenza di contrastare il malessere sociale. Questo impegno non è stato visto di buon occhio da nessuno, neanche dalle istituzioni» attacca Katia. «È per questo che mio figlio è morto, ma io non voglio arrendermi, non abbandonerò i miei progetti e il mio impegno». La donna racconta come è maturato l’assurdo delitto: «Quell’uomo diceva di sentirsi spiato, aveva paura di essere ucciso o di finire in galera e ha deciso di punirci. Sabato quando ha visto arrivare Giuseppe in moto ha pensato a un regalo delle forze di polizia per le sue soffiate. È entrato nella stanza mentre io e i miei tre figli e la fidanzata di Giuseppe stavamo prendendo un caffè. Ha iniziato a sparare senza dire nulla. Mi sono precipitata fuori gridando, per chiedere aiuto. Un proiettile ha colpito Giuseppe alla spalla. Sono rientrata per soccorrerlo e mentre lo stavo alzando da terra lui gli ha sparato il colpo di grazia al cuore». L’omicida è poi salito a casa sua ed è ridisceso con le stampelle e quando si è consegnato al capo della Mobile Nicola Lelario ha detto di essere stato colpito alle gambe e che non si reggeva in piedi. Dopo l’interrogatorio in questura è stato portato in carcere con una sedia a rotelle, perché diceva di non poter camminare. L’uomo, 57 anni, aveva finito di scontare tre anni di carcere un paio di mesi fa. Era tornato a vivere a Crotone e continuava a fare lo spacciatore. Si era comprato un revolver e qualche giorno fa aveva atteso sotto casa l’arrivo di Katia Villirillo. «Guarda ho una pistola, stai attenta a quello che fai tu e i tuoi figli» le aveva gridato.
Una minaccia, una delle tante che l’uomo, ormai da tempo, faceva alla famiglia di Katia. Lei non gli aveva dato molto peso, abituata a subire di tutto in questi anni. Un lungo l’elenco che snocciola come un rosario: «Avevo chiesto al Comune l’installazione delle telecamere di sorveglianza e non mi hanno dato ascolto; avevo sollecitato il ripristino del numero verde per l’associazione e hanno fatto finta di non sentire; avevo implorato una protezione e hanno ignorato le mie preoccupazioni». Dopo il delitto i familiari dell’assassino hanno chiesto perdono. «Solo ora si ricordano di me, dopo che ho perso un figlio? — chiede in lacrime Katia — Perché non gli hanno sequestrato la pistola prima?». La morte di Giuseppe ha scosso tutti a Crotone. L’amministrazione comunale ora ha deciso di occuparsi di Katia Villirillo, mentre per il giorno dei funerali è stato proclamato il lutto cittadino con l’impegno a costituirsi parte civile al processo.